Esplorazioni (3) - pensieri del dentro. Del segnare a dito e dell'insegnare a vedere la luna.
(possiamo immaginare il mondo che verrà - ovvero pensieri sparsi su maestri e allievi).
Quello che la pandemia ha com-portato è un momento di disvelamento.
Un momento di epifania del reale, che torna a offrire la sua presenza per dire la sua.
L'emergenza non è solo sanitaria e sociale. E' anche emergenza della distanza che si è stratificata nel tempo tra il modo in cui vengono nominate le cose, e il modo in cui le cose sono.
E' stata esperienza della distanza tra l'essere e l'apparire, tra ciò che è, e come viene narrato.
Dopo anni di narrazioni e di ripetizioni di forme (dalla politica autoproclamate ri-forme), si sta disvelando come non basti appiccicare un nome a una cosa per definirla per qualcosa che non è. E' un movimento quasi pre-psicotico.
La pandemia ha riportato in auge il reale, di fronte al quale tutti si sono trovati a comportarsi.
Non basta dire che la sanità funziona, quando le persone vengono abbandonate a se stesse senza poter sapere la dimensione reale della situazione sanitaria. "andrà tutto bene" è una dichiarazione di copertura, e il reale delle persone si polarizza tra la paranoia persecutoria, di per sé repressiva e securitaria, e la ricentratura sul reale, in cui si vede in modo chiaro e cristallino l'oscenità dell' "andrà tutto bene" vissuta da chi si da in modo etico e solidale (sia che lavori nella sanità sia che sia attento all'altro di vicinato).
Allo stesso modo accade il disvelamento nella scuola.
Dopo anni di dichiarazioni di copertura all'insegna della "buona scuola", il reale impone la sua presenza, disvelando la distanza tra la cultura e la prospettiva dei parlanti.
Per la politica (?) è tutto un dichiarare e apparire, per chi la scuola la vive, di nuovo lo stesso meccanismo: la polarizzazione tra chi va per la propria strada incurante dell'altro (gli insegnanti che fanno "come se" la priorità fosse finire i programmi e i genitori che gli fanno il verso), e chi include l'altro come componente sostanziale della relazione (gli insegnanti che mettono da parte i programmi astratti e ascoltano i ragazzi, insegnando come l'umanità e la vicinanza non siano nozioni astratte ma componenti dello "stare nel mondo").
In questa polarizzazione ci sono poi i ragazzi.
I ragazzi chiedono l'incontro, vedono il reale e lo abitano, appropriandosene.
Una delle meraviglie a cui ho assistito è quello di ragazzi che provano a suggerire soluzioni ad insegnanti in difficoltà davanti alla tecnologia, e che si stupiscono se qualche ragazzo prova a dire qualcosa del reale.
Non sapere che differenza c'è tra un programma, un browser e una piattaforma non è un peccato, ma una responsabilità.
Non sapere è un peccato solo per chi si assume l'infallibilità. Per l'umano, è la responsabilità di non poter sapere tutto, e di avere sempre qualcosa da imparare.
E' "bizzarro", ma non stupisce, che per chi è molto centrato su di sé ci sia la "scoperta" del potere che i ragazzi si prendono, meravigliosamente, quando non vengono considerati. Così chi è disponibile ad assumersi la responsabilità come parlante dell'incontro con l'altro, impara dall'incontro, che è condivisione e a volte anche conflitto generativo.
Chi invece si barrica dietro la negazione del reale (che a volte da clinici diremmo che è anche forclusione), non può farsene una ragione che le lezioni online, fatte a clone di quelle in presenza, risultino confuse, farraginose ed estenuanti proprio perché non sono in presenza.
Viene a mancare non solo l'incontro concreto, di corpi e sguardi, di odori. Viene a mancare il riconoscimento dell'altro.
I ragazzi, che abitano nel reale, scoprono che ci si può "mutare": magnifico geniale neologismo per silenziare la comunicazione, e silenziare qualcuno dalla comunicazione, in realtà dicendo assai con il silenzio.
Un riappropriarsi, a partire dal significante di parola, di ciò che è stato forcluso nel reale da un discorso che non appartiene al reale, ma a qualcosa di radicalmente altro.
Quando i ragazzi mutano se stessi o l'insegnante, non "ammutoliscono" se stessi o l'insegnante, ma danno una voce nuova, mutata, che parla il linguaggio della vita. Parla lalingua. Che parla sempre, anche se mutata.
Forse anche noi possiamo recuperare una grande lezione: se il reale ci parla di un mondo rovesciato, capovolto, fatto di una pre-potenza che vuole fare degli individui una massa che ondeggia tra l'illusione dell'onnipotenza narcisista e la frustrazione dell'impotenza quotidiana, forse possiamo dare voce al reale, e "mutare" un po' anche noi, tornando a chiamare le cose per quello che sono, restituendo dignità al nome di ciò che è, e che nel reale ci appare.
Possiamo scegliere di aderire a chi vive nella bidimensione del programma che sostituisce l'umano dettandogli le direzioni. Oppure possiamo scegliere di tornare a far vivere la strada semplicemente camminando.
Assumendoci la responsabilità dell'essere parlante, dell'umano che si autorizza a chiamare le cose che accadono per ciò che sono, autorizzandosi ad abitare una dimensione etica della responsabilità, della profondità e della prospettiva.
C'è un enorme potenziale generativo nell'abitare la strada camminando.
Abitare la strada in-potenza può portare a riscoprire una dimensione "mutata" dell'umano, della comunità vissuta nuovamente come-unità.
E può accadere ovunque: come ci ricorda Arnold Mindell, non c'è necessità di forzare i cambiamenti, essi avvengono già. L'importante è essere aperti alla dimensione generativa dell'esistere.
Una dimensione "mutata", come ci insegnano i ragazzi, può essere quella che parla lalingua. Di tutti e di ognuno.
Possiamo autorizzarci ad abitare il "mutare", basta cambiare un trattino e "impotenza" diventa "in potenza". Il trattino che muta la "m" nella "n" e si sposta aprendo alla potenza, alla potenzialità. In fondo è poco, un piccolo trattino. Ma quando cambia la punteggiatura, può cambiare tutto. E possiamo farlo, tutti e ognuno. Con responsabilità, curiosità, eros, etica, poesia, consapevolezza. In un bosco, come nel luogo in cui viviamo. Davanti ad un'onda, come in un campo di grano. Nella scuola, nella comunità, nella coppia, nell'incontro, nel lavoro, nello svago, nella vita.
Riscoprendo la meraviglia nel sorriso o nella lacrima di un ragazzo, di un adulto, di un anziano: un sorriso o una lacrima che parlano lalingua della vita.
Paolo Brusa - Maggio 2020
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