i pensieri del dentro 20 - null’altro che narrazioni

In ultima istanza, siamo null’altro che narrazioni. Una narrazione che segue una sua circolarità, all’interno della quale possiamo disporci, e dalla posizione che andremo ad avere ne deriverà un più generale posizionamento rispetto alle possibilità che ci saranno date abitare nel ciclo della vita. 
Il pensiero dell’essere della narrazione ha diverse radici. Ha radici transgenerazionali, lacaniane, strutturali. 
Prima ancora della gestazione, siamo preceduti da una narrazione familiare, che nasce da un desiderio, a volte, o da qualcosa che accade. Durante i mesi che separano il concepimento dalla nascita, le narrazioni avvolgono il feto, predestinando l’inserimento del nascituro/a in una tradizione di narrazioni che potrà essere matrilineare o patrilineare, e che si inserisce in una dimensione transgenerazionale. 
Spesso nei diversi gradi di parentela, a volte anche nei genitori, inizia a dispiegarsi un lenzuolo fatto di trame e orditi che richiamano nomi e forme che si iscrivono, o discendono, da un’eredità narrativa delle famiglie di provenienza. 
Con la nascita, le narrazioni si moltiplicano, nonne/i, zie/i, parentame vario portano in dote la vero-somiglianza con qualche antenato, da cui si narrano caratteri e gesta che sono appicciate ai discorsi. 
Si ricercano in più o meno probabili somiglianze le fattezze di una narrazione che si suole riferire sempre alla dimensione transgenerazionale, e nei quali la decisione del nome non è solo indice di un’iscrizione anagrafica. Spesso è un’iscrizione nell’albero genealogico della narrazione che discende a sua volta dalle narrazioni familiari delle generazioni precedenti. 
Nel meraviglioso testo “la sindrome degli antenati”, Anne Schützenberger ci ricorda con semplicità come
 “…la vita di ciascuno di noi è un romanzo. Voi, me, noi tutti viviamo prigionieri di un'invisibile ragnatela di cui siamo anche uno degli artefici.” 
Si è spinti a prendere una forma conforme a quella narrazione familiare, che può essere unica, o multipla, concorde o discorde, esplicita o implicita, a seconda del grado di parentela di chi la esprime, e del modo di trasmetterla. 
Man mano che la bambina e il bambino cresce, viene investito da altre molteplici narrazioni. La maestra elementare. I professori delle medie e delle secondarie. Le figure di riferimento che si incontrano nella crescita. Ognuna, sarà portatrice di una sua narrazione costruita a partire dalla individuale prospettiva che determina l’incontro. 
Con la crescita che avanza, è un proliferare di narrazioni su ciò che si potrà essere, in cui ogni parlante esprime la propria previsione senza spesso accorgersi che, essendo la propria previsione, ne dirà della posizione del parlante e delle generazioni che lo hanno preceduto, più che di quella del ragazzo/a. 
I legami, le assonanze, gli anniversari, le coincidenze di date e modalità intervengono nella scrittura di una narrazione all’interno della quale è importante e necessario ritagliarsi uno spazio vitale, uno spazio di esistenza che ascolti anche altre voci, quelle interne che originano nel profondo. 
Dalla nota citazione di Freud nell’Introduzione alla psicoanalisi secondo cui “l’io non è padrone in casa propria”, ne consegue che è l’inconscio il vero “padrone”. Padrone: parola interessante, nel suo passare etimologicamente dal designare il protettore dei liberti, a indicare chi ha piena facoltà di fare ciò che gli piace, e di disporre di una cosa a suo talento. 
Se l’inconscio è il vero padrone di casa, ed è strutturato come un linguaggio, ne discende la potente affermazione strutturale per cui saremmo, in ultima istanza, null’altro che narrazioni. 
Ne possiamo far seguire un domandarsi con Lacan che “una volta riconosciuta la struttura del linguaggio nell’inconscio, quale sorta di soggetto gli possiamo concepire?”
Personaggi in cerca di soggetto, con il sapere e l’acume di Pirandello nel disvelarlo:
“…abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo … come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai”. 
L’essere di una narrazione non significa essere in una simulazione, dal momento che, come sa bene chiunque abbia sperimentato lo scrivere un tema, una poesia o un libro, o l’aver letto un tema, una poesia o un libro, la narrazione è evidentemente vera per se stessa. Lo è anche quando è costruita intorno a falsità. 
Potremmo dire che, così come di fronte al proliferare di notizie false (le notorie “fake news”) è possibile fare una verifica fattuale (il cosiddetto “fact checking”), così possiamo autorizzarci a portare sul piano dell’esame di realtà ciò che porta con sé la narrazione che ci ha preceduto e che ci accompagna. 
Questo movimento è importante, e consente di riequilibrare, per così dire, la reciproca connessione tra i registri simbolico, immaginario e reale, e di definire quale sia, in sostanza, la fatica che siamo disposti ad abitare. Se la fatica di essere in una narrazione ereditata da altri, o se permetterci la narrazione che ci determina dal profondo. 
“Se imparassimo … a comprendere meglio, ad ascoltare e vedere queste ripetizioni e coincidenze, l'esistenza di ciascuno di noi diventerebbe più chiara, più sensibile a ciò che siamo e a ciò che dovremmo essere” ci dice sempre Anne Schützenberger. 
La nuova scrittura narrativa diventa così una liberazione, non solo e non tanto una liberazione da ciò che dal passato torna attraverso le narrazioni familiari, ma anche e soprattutto come liberazione della narrazione interna, che non essendo più tappata e costretta, può far sentire la propria voce. 
Può tornare a respirare, in una nuova circolarità. 
Come disse una giovane donna, “scrollarmi di dosso le parole della mia famiglia mi permette di accettare ciò che sono, così posso avvicinarmi al ritmo del mio respiro, e il ritmo del mio respiro, ora davvero mio, mi pacifica con quel che sono”. 

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note e riferimenti: 
Anne Schützenberger, “la sindrome degli antenati”, 2004 
Jacques Lacan, “Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell'inconscio freudiano”, 1960 
Luigi Pirandello, “Sei personaggi in cerca d’autore”, 1921 
Sigmund Freud, “Introduzione alla psicoanalisi”, 1917 

per gli etimi faccio sempre riferimento al “Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana” di Ottorino Pianigiani nella sua versione online. 




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