I pensieri del dentro 26: occorrenza della parola nel delirio e nel silenzio dell’umana umanità.

C'è un dato umano, ed è di una enormità che non si può quasi misurare. 
Non è solo ciò che accade. Non è solo il numero dei morti. E’ il silenzio. 
Si potrebbe dire un silenzio che parla, che si fa ascoltare.
Che si può sentire, e significare.
Un silenzio che non è neanche lontano parente dell’ignavia cantata da Dante.

« … l’anime triste di coloro
che visser sanza infamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
delli angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé foro.
… Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che 'nvidïosi son d'ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa …»

Cogliamo il suggerimento, non ragioniamo quindi di loro, ma sentiamo il loro assordante silenzio complice, spieghiamo ai nostri figli che è così che si permise qualsiasi sciagura d’olocausto di popoli nomadi, disabili, ebrei, omosessuali, politici. Di ogni diversità non conforme. 
Guardiamo oltre per vedere meglio.
A guardare oltre il dato umano, c’è la flatulenza della demonizzazione del pensiero divisivo, che porta con sé quel fetore che si insinua con apparente leggerezza, e che vede della dialettica, dell’esistenza dell’altro, una dimensione ‘pericolo' solo nella prospettiva del pensiero volutamente fattosi unico.
Da un lato, l’essere “tutto uno” è immagine dell’assolutezza conforme. Dall’altro, è anche immagine di quella simbiosi che fa tenuta, illusione tremebonda di un’avventura psicotica. Simbiosi psicotica per fare tenuta sotto l’egida dell’assoluta conformità.
Non so se, e non penso che, ci sia bisogno di spiegare come gli accadimenti della realtà si situino perfettamente sotto questo titolo.
Ed è proprio l’immagine del progressivo sgretolamento e della frammentazione, unita ad un utilizzo di massa delle difese per antonomasia, ovvero negazione, proiezione e spostamento, a lasciare allibiti.
Quanto meno, a lasciare me, allibito. Senza voce, a furia di gridare con furia in favore di un’etica che pare perduta, un’etica dell’attenzione e della cura dell’umano, in un contesto e in una dimensione istituzionale e di stato che tanto umana forse non lo è più molto. O forse non lo è mai davvero stata.
Al posto della cura, sempre più si allargano nuovi linguaggi, che isterizzandola e demonizzandola, la emarginano neanche fosse letame maleodorante. Solo che, senza letame, non c’è rigenerazione e vita, come insegna la saggezza contadina.
Ricordo con un misto di sorriso e amarezza quando con colleghe, colleghi, amici e sodali si ironizzava sulla prodigiosa capacità di ispirazione orwelliana di creare significazioni giocando con le parole. Guerra umanitaria, bombe intelligenti, eserciti di pace, attacco di auto difesa, strage difensiva, pacifisti terroristi.
Formalmente sono ossimori, ma ossimori particolari. 
Ossimori in cui svaniscono i confini e si instaura una nuova forma di linguaggio che invece di provare a dirne qualcosa della realtà, ha come unico obiettivo di obliterarla. 
Di farla svanire affinché rimanga non-visibile, non più dicibile.
Mentre generalmente l’ossimoro nasce per generare la curiosità dell’altro, i neo-moderni ossimori utilizzati dall’istituzione producono il movimento specifico di indicare una realtà che non possiede nome, una non-realtà che rimane incastonata sul piano della narrazione, anzi, di una ripetizione ossessiva della narrazione che trasforma l’ossimoro in una non-realtà che si fa tangibile nella fumosità della ripetizione.
Certo, c'è anche un dato formale. Legale, se così si può dire. Ma di una legge, che lontana dall’essere interna, non è neanche più diritto.
Come se la parola “diritto” avesse ancora un senso: che l’aggettivo sia umano, di dissenso, internazionale o di parola, si vorrebbe che non ne rimanesse che il suo rovescio.
La tanto sbandierata fluidità, la tanto ripetuta evaporazione del nome del padre, la tanto vituperata scomparsa delle ideologie, forse non sono altro che l'equivalente contemporaneo del dito e della luna dell'antico proverbio.
Solo che non è questione di stoltezza, o di strabismo.
Ciò che sta accadendo ha una portata ancora diversa. Fatto salvo quanto ci insegna la psicologia sociale a proposito del funzionamento del gruppo, piccolo, grande o enorme che sia, secondo una modalità che riprende le modalità di struttura della personalità, possiamo provare a leggere in metafora quanto sta accadendo in una sorta di metonimia di quanto accade sulla poltrona e sul lettino.
Anche se poco rassicurante, sappiamo che non c’è un confine definito e definitivo che separa rigidamente e in modo impermeabile la singolarità della persona dalla dimensione collettiva.
Oltre a verificare i funzionamenti del singolo e del gruppo, piccolo, grande o enorme che sia, e del loro impatto reciproco, proviamo a leggere il funzionamento di un gruppo decisamente grande e dai confini volutamente sfumati.
L’umanità. L’umanità è essa stessa un gruppo, decisamente enorme, e quindi, con le dovute proporzioni, si presta alla metafora del funzionamento psichico del singolo.
In entrambi i casi, singolo e gruppo, l’assetto è variabile a seconda di epoche storiche, contesti politici, economici e sociali. Per quanto possano variare, le basi del funzionamento strutturale sono riconducibili al loro livello più semplice.
Seguendo le parole di Albert Einstein, possiamo concederci un livello di comprensione e consapevolezza più elevato rispetto a quello che ha causato il problema stesso, permettendoci la semplicità. In fondo è proprio così, ogni cosa è passibile di essere resa il più semplice possibile, anche se non più semplice all’infinito, il che la ridurrebbe al banale.
Dato che il grado più semplice della massa è il suo singolo partecipante, proviamo ad astrarre, come in metonimia, i movimenti di struttura. 
Una singola massa, una singola umanità, come la singolarità dell’individuo. Dal contenuto al contenitore.
Seguiamo Einstein, e permettiamoci di giocare con le sue formule. 
Riprendo l’illuminazione (2) (un’illuminazione creativamente un po’ delirante, a dirla tutta) che ebbi ad un convegno a Madrid. 
Apro parentesi. Era molti anni fa, in quel preciso momento storico in cui la strategia europea di Lisbona e la Millennium Campaign delle Nazioni Unite erano state superate dal tempo che era passato senza che fossero stati prodotti risultati sostanziali. Povertà, disoccupazione, disuguaglianze, miseria, sfruttamento, esclusione, disperazione erano ancora tutte li, a strutturare la vita di moltitudini di persone e a fare pernacchie alle roboanti campagne istituzionali. Le ricordate? Millantavano l’eliminazione della povertà entro il 2000, poi entro il 2010. Nel frattempo erano state emendate nel 2005, spostando l’obiettivo al 2015, per far posto alla strategia Europea 2020, che è poi diventata 2030 e che diventerà … lo vedremo. Con calma, molta calma. Tanto, povertà, disoccupazione, disuguaglianze, miseria, sfruttamento, esclusione e disperazione sono sempre li, a impattare sulla vita di molte moltitudini.
In quei primi anni della prima decade del secolo ero stato invitato ad un convegno a Madrid in cui si disquisiva su come sviluppare ‘nuove prospettive inclusive’. Mi annoiavo.
Annoiarsi ad un convegno a cui si è invitati può capitare. Può capitare di pensare che nonostante la retorica e i proclami formali, alla fine il reale faccia comunque capolino e tocchi farsene qualcosa. Scarabocchiare sul foglio che si ha davanti come modo di abitare la noia e il reale è da sempre il mio modo di farmene qualcosa, di rimanere presente ai discorsi che mi circondano, e contemporaneamente essere altrove, libero di liberare il pensiero, facendo risalire il profondo attraverso ciò che compare scritto o disegnato sul foglio.
La suggestione della noia guidava la mano. Disegni, scarabocchi. Da subito la lettera greca psi “φ”, poi la formula della relatività, E=mc2.
In breve quei segni sono diventati simboli e grafie, acronimi bizzarri che hanno originato una fantasia e un pensiero. Perché partire, o fermarsi, all’esclusione?
Era già tutto li, negli scarabocchi.
“φ - Psi” come la funzione d’onda nella teoria quantistica, ma anche simbolo della psicologia.
La formula della relatività, E=mc2: ‘E’ come Energia, ma anche Esclusione, Essenza dell’Essere come prodotto della Molteplicità delle componenti di un individuo (la sua massa 'm') moltiplicata per il Contesto al quadrato (contesto che determina e viene insieme determinato alla velocità della luce).
Pochi grafi che contenevano l’essenza della cura. Era una percezione chiara, una visione, un piccolo delirio prodotto dalla noia e dalla curiosità, sua fedele compagna. Chiudo parentesi.
Così come Einstein (3) aveva circoscritto l’equazione base di funzionamento dell’universo in sole tre lettere, su quel foglio c’era tutto, sia contenuto che contenitore, sia singolare che plurale, sia individuo che collettività umana.
Se assumiamo l’umanità come contenitore dell’umano, cosa sta accadendo al mondo, che è contenitore a sua volta? Cosa centra con il con-formato della psicosi?
Per rispondere, provo a ragionare alla rovescia: mentre solitamente guardiamo alla psicosi per capire cosa può dire della realtà, guardiamo la realtà e ascoltiamo cosa ha a dirne della psicosi. Cosa sta accadendo sul piano macro dell’umana umanità?
Oltre alla negazione costante dei diversi comportamenti di autolesionismo legati ad uno sfruttamento senza limiti di tutto ciò che è naturale risorsa, il progressivo disfacimento della tenuta globale passa attraverso una destabilizzazione per frammentazione di ciò che è stato ‘Stato’.
Come potrebbe recitare il DSM, la psicosi presenta sia sintomi positivi che negativi.
I ‘sintomi positivi’ sono sostanzialmente nella forma dei disordini del pensiero, per cui per esempio si applicano doppi standard a seconda della prospettiva individuale. Possono prendere la forma dei deliri e delle allucinazioni, leggendo la morte e la distruzione di interi territori e di intere popolazioni come semplici azioni di difesa, come se difesa e bombardamenti di ospedali, scuole, università e rifugi fossero sullo stesso piano di realtà. Come nei comportamenti di follia a due, quando la vittima si vuol far credere che sia carnefice, e il carnefice si fregia del titolo di vittima.
Nella psicosi da manuale psichiatrico ci sono anche i cosiddetti ‘sintomi negativi’, ovvero tutti quei comportamenti che definiscono un generale e sostanziale appiattimento emotivo, caratterizzato da forme importanti di apatia e passività, che possono portare la singola persona ad un significativo isolamento sociale.
Esattamente quello che sta accadendo ad una fetta importante dell’umanità mondiale, che di fronte alla sociopatia omicida e distruttrice si chiude nel silenzio un po’ fobico e molto rassicurante della ripetitività del quotidiano, non più in grado di alzare gli occhi e guardare in faccia la realtà del mondo e di quanto sta accadendo.
Non mi stupisce affatto.
Non mi stupisce da quando lessi tanti anni fa che già Freud(4) scrisse del fatto che 
“…le masse non hanno mai conosciuto la sete della verità. Hanno bisogno di illusioni e a queste non possono rinunciare. L’irreale ha costantemente in esse la precedenza sul reale, soggiacciono all'influsso di ciò che non è vero quasi altrettanto che a quello di ciò che è vero. Hanno l’evidente tendenza a non fare alcuna distinzione tra i due.”
Eravamo partiti dagli ignavi cantati da Dante, e siamo approdati ad Einstein e Freud, ad un quadro che rimanda più di concreto ad una dimensione di progressiva psicotizzazione dell’umana umanità, in cui ogni movimento che prova a parlare di etica e di cura, di solidarietà e di pace, di diritto alla libertà e all’emancipazione viene represso e tacciato di essere un suo opposto.
Come se gli opposti fossero contrari, dimenticando la lezione di Eraclito (5) per cui, in ogni dualismo, gli opposti sono relazionati per differenza con il proprio contrario. Sono le loro caratteristiche di unicità a dare senso e significati, ciascuno nel proprio contesto specifico, in cui ognuno è collegato al suo opposto distinguendosi da esso.
Se questa è un’evidenza della realtà quotidiana, che ci permette di interagire con la realtà del mondo e del contesto in cui ci troviamo a vivere il momento, la sua assenza, o meglio, la sua negazione, ci parlano il linguaggio di uno slittamento sempre più pervasivo della dimensione psicologica, sociale e/o educativa della cura e dell’umano.
Allora, come ora e come sempre, nonostante tutto, si può continuare a usare la lingua del reale. Di quel qualcosa che non si può mai dare come preso e come definito, o definitivo, ma che avvolge nel suo continuo divenire. Si può.
E’ cioè qualcosa che sta nel nostro potere, singolare e collettivo insieme, di abitare un terreno di umana umanità.
A partire dall’origine di ciò che è 'reale', ovvero dalla sua radice nella parola latina ‘re-s’, cosa, ovvero null’altro che ciò che esiste.
Perché ogni individuo è speciale, e ogni accadimento relativo. Ma esiste, con un nome proprio.
Se la psicosi insegna qualcosa, e insegna sempre qualcosa, è anche quale sia il suo movimento e la sua inerzia, e cosa ne possa essere elemento di cura. La parola. Proprio come ci ricorda Nicolò Terminio, “nel delirio è in gioco l’oscillazione tra un’assenza di prospettiva e una prospettiva totalizzante, in entrambi i casi osserviamo la forclusione della funzione del Terzo”.
Occorre osare il potere della parola, delle parole per dirlo, occorre riprendere una dimensione in cui la dialettica torni ad essere terreno di altruità insaturo e aperto, permettendo di recuperare la possibilità di una riconoscenza in grado di ribaltare la prospettiva che nella psicosi ha la parola, “una parola che ha rinunciato a farsi riconoscere” come scriveva Lacan (7).
Occorre. Un verbo significante. Si potrebbe concludere, aprendo.
Aprendo all’occorrenza, a quell’occorrere che nella sua radice etimologica fatta di ‘ob- contro’ e ‘currere-correre’, ci parla di un necessario statuto del correre contro e incontro, di un accadere, di un avvenire, di un venire alla mente e di un far di bisogno.


Riferimenti:

1- Dante Alighieri, La divina commedia, Inferno III, estratto 34 - 51

2- Paolo Brusa, E=mc2, un viaggio metaforico attraverso l’evoluzione della fisica per approfondire la relazione di aiuto, 2014 

3- Albert Einstein, L'inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia?, settembre 1905

4- Sigmund Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’io, 1921

5- Eraclito, Frammenti, circa 500 a.C.

6- Nicolò Terminio, Lo sciame borderline, 2024

7- Jacques Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, 1953

Come sempre, per gli etimi faccio riferimento a Ottorino Pianigiani, Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana, 1907, 2004-2008

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