i pensieri del dentro 24 - accade ciò che può accadere
Cosa sia la realtà, e cosa ce ne si possa fare.
Cosa sia il reale, e cosa ce ne si possa fare.
Cosa sia il tempo, e cosa ce ne si possa fare del suo essere passato, presente, futuro.
Altre volte ho scritto di realtà e reale, e in futuro accadrà di nuovo, chissà. Ora è tempo di iniziare dal tempo.
Parafrasando ciò che scriveva Stevenson, potrei dire che così come la scuola è la mia strada, la strada è la mia scuola (1). Lungo la strada e le strade che percorriamo, quelle reali come quelle metaforiche, incontriamo continuamente accadimenti, e ciò che accade non è null’altro che ciò che può accadere.
Alcuni giorni fa, ho cercato nella mia libreria due libri che mi aveva chiesto mia figlia perché parte delle letture consigliate dal professore per questo inizio anno accademico.
Due libri meravigliosi di Carlo Rovelli (2). Il primo, Sette lezioni di fisica, lo avevo ancora, e glielo ho prontamente passato. Il secondo, L’ordine del tempo, non sono riuscito a trovarlo. Sarà parte di quei tanti libri che, preso dall’entusiasmo di un incontro o di una chiacchiera, presto, e che non venendo restituiti, trovano un’altra casa. Un po’ dispiace. Ma la vita è anche altro, così ne ho comprato una nuova copia, approfittando di un paio di lunghi viaggi per trasferte lavorative in Friuli e a Bruxelles per rileggerlo con calma prima di passarglielo.
Ci sono cose che accadono, semplicemente perché possono accadere.
Occasioni fortuite, come questa. Che si inseriscono in un ordine temporale particolare, in momenti in cui si incrociano con le parole delle persone con cui lavoro, con i movimenti dei gruppi che incontro.
Epifanie che si incontrano lungo la strada, e che diventano epifanie individuali, aprendo nuovi orizzonti.
Sono piccoli passi singolari, non verso universi di certezze, ma verso aperture e nuove visioni, che conciliano l’orizzonte con le eresie che lo rappresentano, come può esserlo il mio utilizzo della fisica quantistica come metafora del funzionamento umano. Come può esserlo l’avvicinare le parole di Carlo Rovelli con quelle delle persone e dei gruppi che incontro nello stesso arco di tempo.
Eresia, parola che ricordo meravigliosa nel suo derivare dal futuro del verbo greco “Airéô” (3), che significa prendere e scegliere. Scegliere la responsabilità di cosa prendere e di come metterlo in parola. Tutto qui.
Scegliere cosa vedere nella nebulosa degli avvenimenti che accadono.
Scegliere.
Scegliere ad esempio la fisica per parlare di psicoanalisi. Del lavoro di cura.
Per abitare lo spazio e il tempo analitico che si muove in una dimensione estremamente quantistica. Partiamo dai concetti comuni che ne sono cardine. Il tempo, lo spazio, la relazione tra posizioni e movimenti, la realtà.
Nello spazio della cura, proprio come aveva capito Einstein, il tempo scorre in modi differenti in luoghi diversi per ognuno. Non solo. Il tempo scorre in modi differenti sia che si sia in luoghi diversi, sia che si sia nello stesso luogo.
Una professionista della cura, in una seduta avvenuta proprio in questo arco temporale, lo ha espresso con brillantezza: “quando il tempo scorre sempre uguale, non scorre affatto.”
Lavorando a lungo su di sé, oltre che incontrando le persone, è immediatamente evidente come lo scorrere del tempo sia completamente differente a seconda che si occupi come posizione il divano o la poltrona.
Ciò che vale per me, vale anche per l’altro, e viceversa. Null’altro che l’applicazione del buon vecchio principio di reciprocità della fisica delle antenne, a sua volta applicazione delle equazioni di Maxwell.
Da una parte, il tempo non esiste mai uguale a sé stesso, dall’altro si è contagiati dall’averlo imbrigliato in un assoluto immutabile negli orologi, che ne hanno fatto una mera questione mercantile. C’è il tempo degli orologi, e c’è il tempo delle persone.
Tempo individuale, interno, tempo logico, che non solo cambia da persona a persona, ma è differente nei momenti diversi della vita di ognuno. Quel ‘modo’ singolare è individuale, e in qualche modo individuativo dell’identità di ognuna/o in un preciso momento.
Nel lavoro di cura, quando le persone, solitamente dopo un certo tempo variabile, iniziano ad abitare il proprio tempo logico, si permettono di vivere l’esperienza che Rovelli descrive perfettamente: “il ‘tempo proprio’ non dipende solo da dove si è, dalla vicinanza o meno di masse (emotivamente rilevanti, aggiungo io), dipende anche dalla velocità a cui ci muoviamo (4)”.
Il dato di inizio e fine, come aveva ben definito Lacan (5), non si può pre-determinare in termini assoluti, dal momento che la realtà assoluta non esiste. Lo dicono molti, lo ripeto da sempre, lo racconta perfettamente Carlo Rovelli.
‘Adesso’ non significa nulla. Quale adesso?
Il mio ‘adesso’, che dopo averlo scritto al computer, sono già nel futuro di quel momento che è passato da una riga di battitura? o l’ ‘adesso’ di chi legge, anzi, gli ‘adesso’ di chi leggerà in un futuro indeterminabile a priori, aprendo queste righe sul blog e leggendo quanto scritto in un mio ‘adesso’ che sarà ampiamente passato?
Questa constatazione, semplice e intuiva, eppure contro-intuitiva rispetto al senso comune, ci accompagna a fare ulteriori passi.
Non solo il tempo è assolutamente individuale, ma cambia il modo in cui lo viviamo a seconda del significato che viene a esplicitarsi.
Permettersi di dare alla propria posizione nell’universo la grammatica che è peculiare, non significa controllo o pre-determinazione, significa una diversa prospettiva di abitare il proprio tempo, di scandire in un modo nuovo il rapporto tra passato, presente e futuro.
Dato che ognuno si rappresenta a partire dal proprio discorso, o dalla propria narrazione, come si usa dire oggigiorno, è l’articolazione di questa grammatica che conduce ad abitare il presente. Il modo scandisce la peculiarità unica e irripetibile di ogni singola persona.
Ma come?
A volte come un’eterna ripetizione del passato. Altre come una continua proiezione nel futuro.
In realtà, possiamo scoprire che non c’è nessuna linea netta di demarcazione, ma solo una approssimazione data dalla nostra peculiare prospettiva.
In studio, mi capita di chiedere dove sia la tazza con l’acqua appoggiata alla destra della mia poltrona. Dalla prospettiva del divano, la risposta è ‘a sinistra’. Altre volte, accade che le persone mi dicano a fine incontro che il tempo è volato, oppure che pare essere dilatato e non finire mai.
Il tempo e lo spazio, nell’universo della cura come in quello quantistico, non esistono come assoluti. Esistono posizioni che determinano probabilità di prospettive.
Ciò che nel tempo della vita di ognuno è accaduto disegna una sequenza di avvenimenti, dei quali alcuni lasciano un segno che dal tempo in cui sono successi marcano lo spazio e le prospettive della vita che ne segue, e che prosegue.
Come ricorda Rovelli, già Aristotele era stato estremamente preciso in merito:
“Il luogo di una cosa è il bordo interno di ciò che la circonda (6)”.
Rispetto agli accadimenti delle storie personali di ognuna/o, il tempo e il luogo sono interni, costituiscono il bordo interno della persona che le ha vissute, e che le circonda con il proprio ricordo, con la memoria di quanto accaduto.
Questa memoria è la dimensione che l’accadimento del passato ha nel suo protendersi in tutti i momenti successivi all’atto accaduto. Una memoria che, per l’impatto che ha sulla dimensione interna, può arrivare ad obliterare il presente.
Potremmo dire che il ricordo del passato è la memoria del suo stesso futuro.
Come ha detto una persona con cui lavoravo, un giovane uomo che subì un abuso da una parente in giovane età, “inizio ora a vedere che cosa succede ogni volta che mi dico ‘non ti meriti di stare bene’ … c’è un mio movimento interno, involontario, che riporta in vita il male del passato e implacabilmente lo proietta nel mio futuro ripetendomi che è solo un'illusione, che accadranno cose tremende, che questo è tutto ciò che mi merito”.
Nel processo di ascolto e rinegoziazione del racconto della propria memoria, abbiamo spesso ripetuto il nostro scambio su dove si trovasse la mia tazza, e sulla centralità che poteva avere il desiderio di bere come prospettiva da aggiungere a quelle consuete di definizione assoluta ed immutabile che si ripetevano sempre uguali nel tempo, senza però mai dirne qualcosa dell’acqua, della sete come bisogno di idratarsi e della sua freschezza come desiderio di piacere.
Questa prospettiva consentì di aprire un piccolo varco nella ripetizione angosciosa dell’uguale, permettendo l’ingresso in un processo di soggettivazione, doloroso e insieme salvifico. Mi disse un giorno “quando vivi nell’ombra di te stesso, se accendi la luce, l’ombra svanisce… occorre presentificare ciò che fa l’ombra, che non è solo la luce, ma il corpo e la persona che lo genera…”.
La sintesi non poteva che essere più chiara e illuminante.
La memoria, specie la memoria dolorosa, tende a trasformare l’accadimento in una certezza, lasciando incisa nella persona la nota iscrizione che Dante immaginò essere scritta sullo stipite dell’inferno: “Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore; fecemi la divina podestate, la somma sapïenza e 'l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate. (7)”
Se si lascia correre, la paura si restringe.
Si può entrare nel proprio mondo interno, e scoprire che se il tempo e lo spazio non si definiscono in termini assoluti, ma rispetto al loro porsi in uno schema di memoria e di narrazione individuale, allora ciò che ne determina la valenza è il loro porsi uno nei confronti dell’altro.
La valenza è la relazione.
Sappiamo tutte/i dal tempo della scuola di essere fatti di atomi, cioè di vuoto. Il vuoto è il nostro elemento costitutivo sostanziale. Forse per questo c’è chi passa il tempo a riempirsi di cose, nel tentativo, inutile e infruttuoso, di saziare quel vuoto strutturale.
Un vuoto percorso da elettroni, che sono ovunque non essendo in nessun luogo. Come scrive Rovelli “l’elettrone è concreto solo rispetto agli oggetti con cui sta interagendo (8)”.
Ero all’aeroporto di Monaco, arrivato da Bruxelles e in attesa di un volo per rientrare a Torino. Ho letto questa frase, interrotta da uno scambio di messaggi sul cellulare con due colleghe, a cui risposi “sono ormai al gate, vi leggo nei transfer... fa molto analista, dicono…”. Alzando gli occhi prima di imbarcarmi sul volo che mi riporta verso casa, leggo una pubblicità di pacchetti benessere venduti a caro prezzo.
Se ci permettessimo di ascoltare cosa possono dirci gli elettroni che ci strutturano, forse potremmo scoprire che l’impermanenza è dentro ognuno di noi, con buona pace di chi la vorrebbe vendere in costosi pacchetti vacanza tutto incluso. A pensarci, di per sé già surreale.
Salito sull’aereo, riprendo il libro. “… una cosa è il tempo con le sue molte determinazioni, altra è il semplice fatto che le cose non ‘sono’, accadono…tutta l’evoluzione della scienza indica che la migliore grammatica per pensare il mondo sia quella del cambiamento, non quella della permanenza… (9)”.
Questo passaggio è sostanziale. Silenziosamente avvicina il lavoro di cura con la fisica. Rende visibili e comprensibili le parole di Lacan come di Carmelo Bene.
Nella strada che ognuna/o percorre, c’è un tempo per la soggettivazione, e uno per la de-soggettivazione.
Per poter dire ‘io non esisto’, occorre che ci sia una singolarità che lo possa dire.
Che abbia il potere di poter dire, a ragione, che l’espressione ‘io non esisto’ è l’attestazione concreta del fatto che, esattamente come gli elettroni che ci costituiscono, esistiamo nel concreto del nostro peculiare modo di abitare ciò che ci accade.
La narrazione che ne consegue sarà un esercizio di memoria, in cui ‘sono dove c’è ciò che sarà stato’ viene abbinato per dare un senso complessivo.
Questa, come tutte le narrazioni, ha una sua struttura grammaticale, e una sua estetica.
A dispetto di quanto può apparire all’esterno, e di quanto ci si convinca a partire da ciò che l’esterno ci rimanda in continuazione fino a renderlo familiare, anche la struttura della narrazione che riguarda noi e la nostra vita non è destinata al permanere nell’immutabilità, ma è suscettibile di cambiamento.
“… perché il mondo che ci è dato è il mondo visto da dentro, non il mondo visto da fuori. Molte cose del mondo diventano incomprensibili … se non ne teniamo conto… (10)”
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note e riferimenti:
Accade solo ciò che può accadere: senza le scelte di mia figlia a partire dalla lista dei libri da leggere proposti dal suo professore, senza la rilettura del libro di Carlo Rovelli, questa pagina semplicemente non esisterebbe. Una dedica di gratitudine va a loro.
...
1- Robert Louis Stevenson "Elogio dell’ozio”, 1877: “Non è ora il momento di dilungarsi su quell'efficacissimo luogo di educazione, la strada, che fu la scuola favorita dei Dickens e dei Balzac, e che produce ogni anno molti ingloriosi maestri di Scienza della Vita. Basti dire che se un ragazzo non è in grado di imparare qualcosa dalla strada, non è in grado di imparare nulla.…”
“This is not the moment to dilate on that mighty place of education, which was the favorite school of Dickens and of Balzac, and turns out yearly many inglorious masters in the Science of the Aspects of Life. Suffice it to say this: if a lad does not learn in the streets, it is because he has no faculty of learning.” - Apology for the idlers)
2- Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di Fisica, 2014 e L’ordine del tempo, 2017
3- come sempre, per gli etimi faccio riferimento a Ottorino Pianigiani, Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana, 1907, 2004-2008
4- Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, pp. 41
5- Jacques Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, 1953, in Scritti pp. 245
6- Aristotele, Fisica, libro IV
7- Dante Alighieri, Divina Commedia, 1321, Inferno III, vv. 1-9
8- Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, pp. 80
9- Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, pp. 86
10- Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, pp. 133
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