silenzio, ascolto e incontro

Ogni gruppo ha storia a sé, con dinamiche, posizioni, movimenti ed evoluzioni che ne definiscono la propria unicità. Dal tutto alle parti e dalle parti al tutto, in un gioco continuo di relazioni, inter-relazioni e correlazioni in cui ogni momento dice qualcosa del gruppo, al gruppo e ai suoi componenti.
Vivere l’esperienza dei gruppi è sempre uno stare in cui la posizione della cura apre ad una moltiplicazione, una somma di individualità che si compongono nel discorso del gruppo.

E’ un’esperienza di se-parazione, un parare e pararsi di fronte a sé e al sé degli altri componenti, contribuendo a definire un discorso di desiderio condiviso in cui ci si para e si appare nel rispecchiamento gruppale in una dimensione mutevole e sempre nuova, creativa e generativa, in cui il se-parare si costruisce come uno stabilire, un disporre ciò che ha identità di significato, allestendo uno spazio a parte, una parte di spazio in cui l’individuo miscela la propria esperienza  nella comunanza della con-divisione.
Capita a volte che il clima, lo zeitgeist ambientale e individuale, il tempo corrente porti alla condivisioni di particolari momenti che diventano momenti particolari. L’esperienza del silenzio può essere una di queste. 
In un silenzioso pomeriggio quasi primaverile, prima di incontrare un gruppo con cui lavoro da qualche anno e che regala continuamente doni di crescita e nuove alchimie interne, durante una passeggiata mi scopro attirato da una libreria, o per meglio dire da una vetrina di una vecchia libreria un po’ fuori dal tempo. Si intravedono i libri accatastati e disposti a coprire tutti gli spazi interni, lasciando in evidenza una vetrina piena di spazi semi-vuoti in cui da fuori si possono intravedere titoli, colori. Entro quasi furtivo, chiamato da uno di questi libri, che acquisto e porto con me proseguendo la mia silenziosa passeggiata, prima di fermarmi in un cafe. Prima di incontrare il gruppo c’è ancora il tempo per una tazzina di caffè, una sigaretta e un assaggio del libro, che, aperto a caso, mi regala parole che percepisco preziose.
Il lavoro con il gruppo si dispiega nelle ore seguenti, ed è uno spazio in cui il silenzio ha un suo spazio rilevante. Un silenzio particolare, che il gruppo riesce a condividere nella sua descrizione narrativa. Un silenzio che è come uno spazio di ascolto del mondo interno del gruppo e delle sue parti, uno spazio del gruppo sul gruppo i cui partecipanti si autorizzano silenziosamente ad apparecchiare uno spazio libero che diventa un rito che accoglie e com-prende (prende con sè) anche la fatica e la sofferenza. Un silenzio che consente di di sentire il tempo, che diventa una qualità quasi concreta nel suo scorrere, permettendo di concedersi il lusso della calma di fronte all’emergere del quotidiano e alla quotidiana emergenza. Una calma che aiuta a con-tenere il disordine, quasi una difesa del gruppo rispetto a tutto quanto c’è da dire, una protezione preziosa in attesa che si trovi nell’alchimia dell’incontro una strada su cui il discorso possa prendere la sua giusta direzione, e che può essere condivisa e percorsa insieme, dando spazio, accoglienza e dignità a tutte le sfumature portate dai partecipanti.
Questa particolare dimensione è quella che chiamo del “silenzio parlante”, un silenzio cioè carico di quella sospensione dalla concretezza didascalica che apparecchia uno spazio che, nel confluire dei pensieri, delle aspettative e dei desideri dei partecipanti consente l’articolazione del discorso e del desiderio del gruppo.

Ringraziando il gruppo per la condivisione di questa inattesa dimensione, ritornano le parole lette velocemente nel libro “La saggezza” di Eugenio Borgna acquistato poco prima. “Non c’è solitudine senza silenzio, e il silenzio è tacere ma anche ascoltare”.

Commenti

Post più popolari