Digital storytelling: un focus sui processi di facilitazione del gruppo nell'apprendimento digitale - cap 5

premessa: 
il testo che segue rappresenta il capitolo 5 della pubblicazione DEPAL - Digital Education Participatory Adult Learning, Una guida per educatori, 2020  (Project number: 2019-1-UK01-KA204-062090, IT - EN - EL - ES) 
Il capitolo è stato scritto insieme ad Angela Salvatore. La guida completa, disponibile gratuitamente al link, contiene tra gli altri, i seguenti capitoli:

Frank Naughton & Jacqui Gage, "Background Thinking - Apprendimento partecipativo per adulti" e "Il Valore della Comunicazione: Ascoltare e parlare"

Karen Wynne "Creare spazi sicuri per il dialogo"


Il capitolo seguente introduce il Digital Storytelling e le sue possibili applicazioni di intervento comunitario e di facilitazione dei workshop nel campo dell'apprendimento partecipativo per adulti. Il capitolo è il risultato di anni di esperienza nel campo del lavoro di gruppo sia in Italia che a livello europeo. Si propone di essere una risorsa per l’approccio al processo di pensiero, più che una guida pratica per gli interventi.

Per questo motivo si affronta il tema della natura del linguaggio. La guida descrive come le parole si trasmettono dal parlante al ricevente, e cosa succede nel frattempo. Per sua natura, il linguaggio è sempre popolato da immagini, e un lavoro che include sia le immagini che la struttura linguistica facilita un percorso di esplorazione o di ritrovamento, durante il quale tutti i passaggi rappresentano un'opportunità progressiva per illuminare l'autocoscienza.
La consapevolezza di questi aspetti è importante per entrare nel processo specifico del Digital Storytelling e per capire come il processo faciliterà la transizione reciproca tra individui e gruppi, o comunità, e viceversa.
L'approccio LABC al lavoro di gruppo come processo di apprendimento e formazione rappresenta una traduzione diretta dei nostri principi: la nostra esperienza, dedizione e professionalità è sempre offerta come risorsa per aprire nuovi spazi e incoraggiare gli individui ad affrontare nuove sfide. Ritenendo veramente che la strada si fa camminando, siamo ripagati con la scoperta reciproca dell'unicità di ogni individuo all'interno del gruppo e della comunità.
"Immaginare un linguaggio è immaginare una forma di vita".
Ludwig Wittgenstein
La natura delle parole
Le parole, per loro natura, sono prestate e si prestano. Come spesso accade, le persone sono portatrici di parole che ci vengono prestate, e che si prestano a dire qualcosa di ciò che esprimono.
La meraviglia delle parole è che, nel passaggio da un oratore all'altro, tutti se ne appropriano.
La doppia natura delle parole è affascinante: arrivano con noi come prestato dei pensieri e delle emozioni di chi ci parla, e allo stesso tempo vengono restituite per dare voce al nostro mondo interiore con il suo gioco, i suoi pensieri, le sue seduzioni e le sue riflessioni.
Le parole e il linguaggio aprono il mistero di come si struttura il rapporto che abbiamo con l'altro. Le parole raccontano storie, ci parlano, sollevano un velo sulla persona che si pone di fronte all'altro.
Ogni parola racconta una storia, e funziona attraverso le immagini.
Il Digital Storytelling è una combinazione: le parole vengono proposte dagli autori a un pubblico che le riceve come narrazione visiva sotto forma di video parlato.
La magia è che il Digital Storytelling permette di combinare i nostri elementi simbolici con le immagini e la linguistica, il tutto a formare un dato risultato sotto forma di video.

Di cosa si tratta?
Il Digital Storytelling è un metodo che accompagna e supporta gli individui a concentrarsi su se stessi e sulla propria storia, a trasferirne la memoria e a drammatizzarla attraverso un processo di lavoro di gruppo che dura in media dai 2 ai 3 giorni e si traduce in un breve video di circa due minuti con il racconto del narratore.
Come per molte esperienze di lavoro di gruppo, il Digital Storytelling è un metodo che può essere applicato in tutti i settori in cui c'è la necessità di creare e raccontare storie individuali o collettive.
Come ogni processo, è strutturato in passaggi succesivi: i requisiti fondamentali per ogni esperienza di Digital Storytelling sono le fotografie e le immagini. È proprio in questa fase della ricerca iconografica individuale che trovano la loro origine i lavori di scavo interiore e le prime riflessioni sulla narrazione. 
La narrazione digitale è uno strumento prezioso per sviluppare le competenze informatiche (ICT), l'apprendimento e le abilità sociali come la capacità di comunicare (nella lingua madre e nelle lingue straniere), la consapevolezza di sé e l'autostima.
L'acquisizione più significativa è la capacità di riconoscere ogni storia come un costrutto, un espediente per la rappresentazione della realtà. Il processo di Digital Storytelling permette l'apprendimento esperienziale di come gli strumenti visivi, cinematografici e drammaturgici possono manipolare la resa emotiva di una storia. Da questo punto di vista, il Digital Storytelling è uno strumento formidabile per sviluppare le capacità di pensiero critico.
Il Digital Storytelling promuove l'apprendimento multidisciplinare e mostra come lo sviluppo di diverse potenzialità e competenze contribuisca a un risultato unico che si adatta alla narrazione autentica che ogni partecipante può offrire di se stesso.
A prima vista, è chiaro che il processo è un accompagnamento guidato e ludico allo sviluppo delle competenze digitali e della competenza comunicativa.

Non solo digitale
Creare una storia digitale non significa solo acquisire competenze nell'uso di software esistenti per l'editing video o conoscere i formati e i modi migliori per pubblicare contenuti su Internet. Significa soprattutto acquisire esperienza con diversi livelli di comunicazione che devono integrarsi e armonizzarsi in un unico prodotto video.
Il formato video apre una gamma di nuove possibilità espressive e impone vincoli invalicabili, all'interno di questo perimetro il partecipante deve fare delle scelte e gestire il proprio progetto seguendo una struttura complessa di passaggi successivi.
La realizzazione di un video aiuta il partecipante a comprendere a fondo i diversi livelli di comunicazione e a gestirli da prospettive nuove: trasmissione consapevole della coscienza e riconoscimento delle storie individuali.
Insegna a mostrare il lato emotivo autentico e a trovare i modi migliori per comunicarlo.
La padronanza della tecnica non è fine a se stessa, ma è un mezzo per raggiungere un maggior grado di libertà espressiva.
In linea di principio, la costruzione di una storia digitale è un'esperienza formativa che aiuta i partecipanti a migliorare:
- pensiero critico
- risoluzione dei problemi
- gestione del progetto
- organizzazione 
- approcci orientati al risultato e al processo 
- gestione del tempo

Non solo narrazione
Il Digital Storytelling è un metodo che si concentra sulla narrazione individuale ed emotiva.
L'esperienza di un workshop di Digital Storytelling è un processo di acquisizione di consapevolezza esperienziale delle emozioni all'interno di una dimensione di gruppo. Il risultato del workshop è l'acquisizione o il miglioramento della capacità di narrare in modo personale seguendo le regole fondamentali della narrazione. Grazie a questa esperienza, ogni partecipante può identificare il proprio stile di comunicazione.
Inoltre, il necessario passaggio della condivisione nel gruppo insegna come interagire con gli altri. La sfida è fare esperienza della non così lieve differenza tra "ascoltare" e "ascoltare attraverso". Il processo di lavoro di gruppo introduce un ascolto attivo volto ad accogliere i contributi degli altri, evitando atteggiamenti critici non produttivi e mantenendo un'atmosfera serena e accogliente.
L'elaborazione di un'esperienza attraverso lo storytelling richiede che il partecipante abbia un punto di vista analitico attraverso il quale è in grado di prendere le distanze dalle reazioni emotive. Questo meccanismo, oltre ad essere centrale nel valorizzare il potere curativo della narrazione, allena alla capacità di gestire le proprie emozioni, una competenza fondamentale nell'intelligenza emotiva.
Raccontare e ascoltare all'interno di un gruppo protetto e paritario aumenta la capacità empatica del partecipante verso l'altro.
Le immagini così come i suoni (parole parlate, rumori e musica) hanno un potere evocativo maggiore di quello della parola sulla pagina. Ogni partecipante miscelerà gli elementi comunicativi della storia digitale fino a trovare il giusto equilibrio tra eventi ed emozioni. Ciò equivale ad acquisire una consapevolezza dei propri strumenti linguistici e comunicativi che può essere utile per migliorare tutti gli ambiti della comunicazione (comunicazione scritta, public speaking, negoziazione, ecc.).

Un'esperienza di recupero tra gli Umani e la loro comunità 
Il processo di lavoro di gruppo è per sua natura un'attività esperienziale in cui i partecipanti sono gli attori del processo che conducono, contribuiscono, creano ed esplorano allo stesso tempo. In termini diversi, funziona da un lato in modo pratico ed esperienziale, dall'altro metaforico. 
È un'esperienza abbastanza comune per quasi tutti i bambini entrare nel magico mistero del mondo ascoltando racconti e storie. Durante le fasi del suo sviluppo, il bambino inizierà a creare le proprie storie, introdurrà variazioni in quelle ereditate, aprendo nuovi scenari che verranno scambiati e trasmessi ad altri.
Le storie si popolano di elementi visivi, preziosi per il narratore, che li usa per colorare la narrazione, e per l'ascoltatore, che li usa per ascoltare attraverso ciò che le immagini richiamano nel suo mondo interiore e nella sua memoria.
L'atto di condividere contenuti e immagini è un potente elemento di incontro tra chi racconta e chi ascolta, che porta a un risultato concreto di costruire un terreno emozionale comune. 
Si tratta di un processo di guarigione in cui immagini, emozioni, pensieri e ricordi si fondono insieme per collegare i singoli individui. 
Se lo interpretiamo come un movimento plasmabile, sembrerebbe la via del rinnovamento del rapporto tra l'uomo e la sua comunità. Un percorso in cui ciò che è individuale acquista dignità e viene condiviso con gli altri che lo riconoscono come parte di un territorio comune, di un patrimonio comune, di un linguaggio comune. 
È il movimento in cui ciò che è proprietà di un individuo diventa proprietà di una comunità, e viceversa allo stesso tempo.
I facilitatori guideranno i partecipanti a concentrarsi sul loro mondo interiore rievocando un ricordo o un'esperienza personale, per la quale ognuno preparerà una serie di immagini. Poiché la memoria funziona soprattutto come attività di rappresentazione, la connessione tra il mondo esterno e quello interno inizia fin dall'inizio.
L'attività di scelta di un episodio personale della propria vita e quindi la scelta di un insieme di immagini che lo rappresentino sono i primi passi di un processo che combina la dimensione individuale con quella di gruppo. 
È un processo in cui le parti individuali e sociali di una persona incontrano la dimensione di gruppo. 
È un percorso che collega l'individualità umana alla comunità, favorendo il riconoscimento del senso di appartenenza.

Dall’individuo al gruppo: guidare l'incontro con la comunità
Il processo del workshop si basa su alcuni presupposti, che sono alla base delle sessioni del lavoro di gruppo. Come Bion ha definito nelle sue "Esperienze in gruppo e altri lavori", i gruppi sperimentano che esistono in realtà due categorie che agiscono al loro interno: il gruppo di lavoro e il gruppo delle modalità di base. Mentre il primo si basa sugli obiettivi, i compiti e le sfide per cui il gruppo si è formato, il secondo si concentra sugli stati emotivi ricorrenti che caratterizzano le dinamiche di gruppo. Bion ha identificato tre modalità di base:
  • dipendenza: si riferisce ad un ordine gerarchico in cui la comunità è guidata da una sottintesa procura ad un qualche ente esterno per fungere da guida per la sua sicurezza; si origina una dinamica in cui il gruppo si comporta passivamente e si pone come se il leader, al contrario, fosse onnipotente e onniscente, con la possibilità di scatenare eventuali risentimenti.
  • lotta-volo: si riferisce ad una modalità di autodifesa, dove il gruppo alterna una modalità aggressiva (posizione "lotta") ad una modalità di fuga (posizione "volo") nella quale le chiacchiere, le storie inutili o gli ritardi evitano il compito.
  • accoppiamento: si riferisce ad una situazione rituale narcisistica che presuppone che il gruppo sia lì per una finalità sessuale (riproduttiva), dove due membri conducono il lavoro del gruppo attraverso la loro continua interazione (sia essa basata sull'attrazione o sulla repulsione) mentre gli altri membri permettono alla coppia di guidare e prendere decisioni manifestando un senso di sollievo e di aspettativa. 
La sfida è quella di guidare e facilitare il gruppo a sperimentare se stesso come unità, preservando la specificità dei suoi partecipanti. 
Attraverso il processo, i partecipanti contribuiranno alla costruzione della identità del gruppo, attraverso una metafora matematica.
Metaforicamente parlando, l'essere in un gruppo induce i partecipanti a sperimentare se stessi come frazioni di un intero più grande (il gruppo stesso). Di conseguenza, ogni partecipante è una sottoparte dell'intera unità.
Allo stesso tempo, ogni essere umano è un'unità completamente individuale, che si compone di molteplici sottoparti: patrimonio culturale e valori; ranghi, ruoli e regole; esperienze; emozioni; intuizioni, solo per citarne alcune.
Nella nostra esperienza, ognuno può sperimentare questo effetto specchio tra i diversi livelli, semplicemente perché riflette una determinata natura. 
Tale effetto può essere sperimentato sia in forma esplicita che attraverso la condivisione: così come un gruppo è costituito da un insieme di singolarità in cui ogni singolarità è espressione e frazione dell'insieme, così l'insieme delle parti di ogni partecipante porta all'interno del gruppo la somma delle sue singole frazioni, il proprio essere e l'esperienza di se stesso come frazione del proprio insieme individuale.
Durante una sessione, è accaduto che i partecipanti hanno sottolineato una volta questa funzionalità matematica: "... stiamo tutti lavorando intorno al minimo comune denominatore delle relazioni che non abbiamo...".
In matematica, il denominatore indica in quante parti uguali è divisa un'unità. A sua volta, nelle frazioni, il denominatore comune è un qualsiasi multiplo dei denominatori delle frazioni che compongono l'insieme.
È questa l'esperienza di diventare una frazione all'interno di un'unità più grande. Come ci piace dire, "comunità è quando gli individui sperimentano il percorso tra l'essere frazioni sociali e l'essere-unità".
Partiamo da questi presupposti e proponiamo che il gruppo sia guidato in un percorso di autoformazione che possa produrre un effetto di trasformazione: il gruppo diventa una comunità di apprendimento dove i partecipanti sperimentano un percorso personale e di gruppo che collega gli aspetti individuali con le loro parti sociali. Nell'esperienza, il viaggio è un percorso di "collegamento":
  • → da personale a sociale
  • → dalle azioni alla consapevolezza e al riconoscimento
  • → dall'uso del rango individuale per controllare ciò che accade, all'apertura alla curiosità di ciò che accade
  • → da un approccio "ascolta" ad una prospettiva "ascolta attraverso".
  • → dal singolo alla comunità

Impegnare la complessità con semplicità: costruire il legame tra "reale, simbolico e immaginario" e "individuale, sociale e comunitario".
Quando si facilita un workshop è sempre importante chiarire la nostra proposta di far parte di un percorso impegnativo con i partecipanti: affrontare la complessità con semplicità.
Questo percorso è fondamentalmente un'offerta per sperimentare il mistero dell'inconscio individuale filtrato senza una prospettiva di giudizio, che è collettivamente superato attraverso un posizionamento continuo e in movimento sia in dimensioni verticali che orizzontali. La sfida non è solo quella di far parte di un'esperienza formativa e di lavoro di gruppo, che può portare a uno dei presupposti di base di Quando si facilita un workshop è sempre importante precisare la nostra proposta di essere parte di un percorso sfidante con i partecipanti: affrontare la complessità con semplicità.
Questo percorso è fondamentalmente la proposta di sperimentare il mistero dell'inconscio individuale filtrato senza una prospettiva di giudizio, che è collettivamente superato attraverso un continuo posizionamento e movimento in entrambe le dimensioni, verticale e orizzontale. La sfida non si limita a partecipare a un'esperienza di formazione e di lavoro di gruppo, il che può portare a uno dei presupposti di base di Bion.
La sfida è quella di accompagnare i partecipanti ad acquisire una prospettiva della loro presenza esistenziale al di fuori di qualsiasi affiliazione religiosa o spirituale all'interno della comunità di appartenenza. In questa prospettiva, ogni partecipante rispetterà le proprie caratteristiche, che verranno riconosciute dal gruppo con dignità e rispetto, aggiungendo al contempo una dimensione personale alla comunità. 
Come facilitatori, abbiamo la grande responsabilità di essere partecipi e di offrire partecipazione. Condurre un gruppo di apprendimento partecipativo significa incoraggiare i partecipanti a scoprire e/o riscoprire che tutti noi possiamo essere parte di un percorso condiviso in cui il gruppo costruisce la strada camminando. Per affrontare questa sfida, i facilitatori devono porsi in una posizione molto particolare: quella di riconoscere che possono avere molto da imparare all'interno del nuovo gruppo - una dimensione insatura della loro conoscenza. Questo concetto analitico può essere collegato alla testimonianza archetipica di Socrate nell'Apologia di Platone, dove si legge la nota affermazione "Sono l'uomo più saggio del mondo, perché so una cosa, ed è che non so niente".
Questa posizione è quella che ci permette di incontrare l'altro e di percepire il gruppo come l'altro mentre ne facciamo parte.Significa che i filtri che si trovano nel mondo interiore danno vita a una nuova prospettiva non giudicante che permette a tutti di sperimentare l'accettazione, il rispetto, la dignità e l'appartenenza del singolo come parte di un contesto più ampio, e di vivere il gruppo come una comunità.
La sfida è per ognuno di noi quella di svelare le possibili congiunzioni e connessioni tra i filtri che rimangono nella nostra esperienza individuale, chiarendo il loro significato di fronte agli aspetti reali, simbolici e immaginari della vita. Questi significati interiori, per lo più sconosciuti o non riconosciuti, possono essere vissuti collettivamente come il legame che unisce gli individui al gruppo e alla comunità.
La dimensione insatura si riferisce all'atteggiamento e alla capacità del facilitatore di condurre il gruppo con un approccio olistico dove l'umiltà, la curiosità e l'apertura creeranno un vero e proprio ambiente di gruppo in cui la partecipazione non è un disturbo per il gruppo ma è generativa, poiché tutti i membri sperimentano la combinazione delle parti del gruppo (che si riferisce implicitamente agli individui) come la somma dei contributi di ogni individuo, dove tutte le possibili topologie e geometrie creano una vera e propria esperienza di gruppo-lavoro in tutti i suoi aspetti fisici, temporali ed emotivi.
Curiosamente, questo approccio si traduce nell' immagine metaforica della teoria quantistica dei settori del gruppo e, per un effetto di reciprocità, ci ricorda che tutti gli esseri umani portano dentro di sé sia la dimensione individuale che quella sociale, così come ogni particella è insieme energia e materia.

La sfida è il processo, il mistero è il risultato, la ricompensa è il percorso..
In un processo di Digital Storytelling, la missione del facilitatore è quella di aiutare i partecipanti a trovare la storia che è per loro importante e che può essere utile per il resto del gruppo e a raccontarla con parole proprie, in modo che possa essere trasformata in un autentico e personale cortometraggio. Il lavoro di facilitazione dei laboratori di Digital Storytelling è complesso sia per le delicate situazioni che possono emergere durante la fase di narrazione a livello individuale, sia per la necessità di coordinare il lavoro del gruppo.
Considerando la criticità delle problematiche che possono emergere durante la fase di narrazione e la complessità delle conoscenze tecnologiche necessarie per realizzare il film, i formatori lavorano almeno in coppia per supervisionarsi a vicenda e svolgere ruoli complementari nel workshop. 
In ogni esperienza di Digital Storytelling sono necessari due facilitatori: un responsabile della formazione che si occupa del lavoro di gruppo e un istruttore tecnico responsabile di tutta la formazione tecnica sull'uso dei dispositivi e della comunicazione.
L'istruttore deve essere competente nelle tecniche di produzione del prodotto filmico, per le quali deve fornire istruzioni e supporto durante tutto il processo. Allo stesso tempo, è fondamentale la capacità di creare e mantenere il giusto clima di fiducia e di complicità all'interno del gruppo.
I facilitatori devono garantire la confidenzialità all'interno del gruppo, in modo che nessuna informazione che viene condivisa da un singolo narratore possa essere rivelata al di fuori del gruppo se non dal narratore stesso o con un esplicito consenso.
In molti paesi europei non è obbligatorio che il responsabile della formazione abbia una laurea in psicologia. Tuttavia, egli deve avere sia una solida conoscenza della dinamica di gruppo, sia una significativa esperienza nell'esecuzione di lavori di gruppo, per intercettare e reagire prontamente a situazioni impreviste, per canalizzare le dinamiche di gruppo e per gestire eventuali tensioni e conflitti.
Il responsabile della formazione deve inoltre avere capacità di comunicazione e di scrittura necessaria ad aiutare i partecipanti nel loro lavoro in maniera costante ma discreta, rispettando l'autodeterminazione del narratore e preservando l'autonomia di scelta. L'istruttore tecnico deve padroneggiare tutte le tecniche digitali e tecnologiche necessarie per realizzare il video, registrare la voce e montare il filmato. Deve avere grandi capacità di problem solving e la padronanza nel trasferimento delle competenze ai partecipanti durante il processo di lavoro di gruppo, in modo da favorire un'esperienza di "imparare a fare". 

Partecipanti
Poiché un workshop di Digital Storytelling può essere frequentato da partecipanti di età, origini e stili di vita diversi, il lavoro può tradursi in una varietà di obiettivi, scopi e scenari. La differenza rispetto a una formazione scolastica è evidente, la focalizzazione su un tema specifico aperto, che comporta la necessità di gestire con competenza le diverse situazioni, che vanno da interventi molto delicati e dedicati in caso di recupero traumatico, all'attenzione e alla gestione di un'esperienza realmente condivisa.
Il Digital Storytelling è uno strumento adatto anche per lavorare con i bambini delle scuole elementari. In questo caso si raccomanda la supervisione di un insegnante adulto che supporti il processo dall'esterno.
L'esperienza ha dimostrato che l'esperienza produce un'intensità significativa, che può provocare emozioni diverse tra i partecipanti. I facilitatori sono responsabili di gestire ciascuno di loro con impegno e attenzione.

Dimensioni del lavoro di gruppo
In generale, il numero ideale di persone per un gruppo di Digital Storytelling è compreso tra 5 e 8, in quanto questo garantisce a ogni partecipante l'attenzione adeguata e una giusta divisione dei ruoli tra i membri nel rispetto delle loro specificità, competenze e interessi. Qualora il numero di partecipanti sia più elevato, si raccomanda di preservare il rapporto tra i partecipanti e i facilitatori.

In generale, se il gruppo è aperto e i partecipanti si incontrano per la prima volta, può essere utile avere una storia o un tema comune per avviare i partecipanti a un percorso comune a partire dallo sviluppo originale di una storia personale.

Fasi del processo di lavoro
Ogni workshop di Digital Storytelling può durare da 2 a 3 giorni, con i seguenti passaggi principali o fasi di lavoro:
fase 1: rompighiaccio e riscaldamento
fase 2: definizione chiara ed esplicita delle regole
fase 3: esperienza narrativa e attività creative
fase 4: finalizzazione delle singole storie
fase 5: creazione dello storyboard
fase 6: montaggio video delle immagini
fase 7: registrazione vocale
fase 8: sincronizzazione di parti video e audio
fase 9: finalizzazione della storia digitale
fase 10: condivisione delle storie digitali tra i partecipanti
fase 11: raccolta dell'autorizzazione per l'utilizzo delle storie digitali prodotte

Per una descrizione più dettagliata delle fasi di lavoro, si consiglia di visionare le varie fasi::
Fase 1: Rompighiaccio e riscaldamento
Questa fase del processo supporta il raggiungimento dell'obiettivo principale di creare connessione e fiducia tra i partecipanti.
Diversi giochi di gruppo, attività e rompighiaccio possono essere eseguiti per costruire un clima di fiducia delineando il perimetro del workshop. Un patto di riservatezza deve proteggere i partecipanti del gruppo di lavoro in modo che si sentano liberi di esprimere le loro emozioni e di raccontare le loro storie.
Per costruire un clima di fiducia e rispetto è necessario che i partecipanti si conoscano e rompano il ghiaccio. In questa fase il formatore propone alcuni giochi di conoscenza per favorire la comunicazione tra i partecipanti e la condivisione delle caratteristiche personali che saranno parte fondamentale delle narrazioni individuali.

Fase 2: definizione chiara ed esplicita delle regole
La condivisione delle regole è responsabilità del responsabile della formazione che è il garante della loro osservanza. Il facilitatore deve descrivere le regole in modo efficace ai partecipanti:
- che cos'è la narrazione
- come si sviluppa il processo, quali sono i tempi 
- quali sono le attività da completare in ogni fase del processo
- quali sono i vincoli del diritto d'autore
- a cosa servirà il filmato in seguito 

Fase 3: Esperienza narrativa e attività creative
Il passaggio dalla memoria alla narrazione avviene attraverso lo "storytelling circle", la fase cruciale e qualificante dell'intero processo, il cui scopo è quello di mettere tutti i partecipanti in condizione di trovare la propria storia, di definire le prime bozze di storyboard che saranno la base per l'elaborazione dei testi e la registrazione del voice-over. 
In questa fase è importante che lo spazio fisico sia idoneo al lavoro. In una stanza tranquilla, dove non ci sono interferenze da parte di persone esterne al processo, i partecipanti e il formatore sono seduti attorno a un tavolo, per potersi vedere l'un l'altro. Si raccomanda di evitare l'uso o anche la presenza di telefoni cellulari e PC, in quanto potrebbero essere fonte di distrazione. Si raccomanda di dare a tutti la stessa opportunità di parlare; non devono esserci giudizi o critiche.
È fondamentale per il successo del processo che il clima sia improntato alla fiducia e all'accettazione reciproca.
L'atmosfera del "storytelling circle" è informale, ma il facilitatore ha il compito di guidare ogni partecipante ad avere una propria storia e una bozza di struttura narrativa attraverso la "chiusura del cerchio". Il tempo destinato allo "storytelling circle" è compreso tra 1 ora e mezza e 2 ore e mezza. I giochi proposti dal formatore nella fase precedente contribuiscono non solo a cementare il gruppo, ma anche ad orientare la scelta della storia, soprattutto tra coloro che non hanno ancora preso questa decisione.
Al termine del tempo i n gruppo dedicato allo "storytelling circle" segue invece un'attività individuale, la "scrittura" della sceneggiatura.
Per chi ha difficoltà ad organizzare una trama narrativa, è disponibile la formula dell'intervista, che aiuta a delineare i passaggi narrativi attraverso l'intervento di un intervistatore.
Ogni sceneggiatura deve contare tra le 180 e le 320 parole. Questo vincolo spinge il partecipante ad esercitare la sua capacità di sintesi e a scegliere tra gli elementi della storia quelli più funzionali al messaggio e alle emozioni che vuole comunicare.
L'istruttore deve incoraggiare il partecipante ad utilizzare il vocabolario e la struttura linguistica che gli permette di preservare l'autenticità e la sincerità della storia.
Il supporto dell'istruttore si realizza attraverso domande che aiutano il partecipante a concentrarsi sui punti salienti e a rendere la storia lineare e accattivante, senza mai suggerire modifiche o apportare correzioni direttamente.
Leggere i copioni ad alta voce aiuta a capire se la storia ha uno sviluppo regolare e se "funziona".
L'insegnante/formatore dovrebbe scoraggiare l'uso di effetti letterari e di artifici, a meno che non siano fondamentali per la narrazione.
Come in ogni processo creativo, può essere utile iniziare con una fase di accumulo in cui il partecipante inserisce nella storia molti dettagli e descrizioni che renderanno la sua storia autentica e sincera. Nella fase successiva, in cui scriverà la sceneggiatura vera e propria, il partecipante procederà per sottrazione e otterrà una storia ricca e allo stesso tempo efficace. 

Fase 4: finalizzazione delle singole storie
La sceneggiatura sarà esaminata e otterrà un riscontro. Ogni partecipante deve essere in grado di riassumere la propria storia in una sola frase. Questo esercizio permette di cogliere facilmente gli elementi che non sono necessari per la progressione logica. Al termine di questa fase ogni partecipante avrà creato la sua storia finale, attraverso revisioni progressive avrà valorizzato il messaggio, definito i passaggi interni della narrazione e trovato il proprio stile.

Fasi 5 e 6: Creazione dello storyboard e montaggio video delle immagini
Una volta scritta la storia, i partecipanti la riverseranno nello storyboard del video.
È importante ricordare che per un video di 2 minuti il numero ideale di immagini/fotografie è compreso tra 15 e 25. Al di sotto di questo numero, il ritmo risultante è troppo lento; al di sopra il ritmo diventa così accelerato che è difficile seguire la storia.
Selezionare le immagini in modo appropriato significa fare una scelta narrativa e di sintesi. Il partecipante deve essere supportato dai facilitatori in questo processo per sottolineare i passaggi che desidera.
Il modo più semplice per realizzare uno storyboard è quello di utilizzare un cartellone suddiviso in due colonne. In una colonna verranno inserite le immagini e nell'altra le frasi di testo corrispondenti. Per un filmato con un ritmo regolare il rapporto foto/testo è di un'immagine per ogni coppia di frasi. Questo rapporto può essere modificato dove la drammaturgia della storia lo richiede. Nello storyboard si raccomanda di includere eventuali effetti sonori se fanno parte della narrazione.
Il risultato è uno schema visivo in cui è facile identificare i cambiamenti di ritmo, i momenti di pathos e il progresso generale della storia. In questa fase si può intervenire con piccoli cambiamenti e variazioni.

Passo 7: Registrazione vocale
La fase di registrazione della voce è particolarmente critica perché introduce problematiche di ordine differente, alcune di natura tecnica seppure fondamentali per il riuscita della narrazione digitale, altre di natura emotiva legate alla componente individuale della storia e alla consapevolezza del suono della propria voce.
Dal punto di vista tecnico, l'obiettivo è quello di ottenere un audio di qualità che valorizzi pienamente il valore della narrazione. Esistono alcune regole e suggerimenti pratici da seguire.
- Nella sala non devono esserci dispositivi elettronici accesi (nemmeno in modalità silenziosa) perché emettono rumori difficili da percepire con l'orecchio umano ma distinguibili nella traccia registrata.
- Se non si dispone di una stanza insonorizzata, è preferibile scegliere uno spazio chiuso e silenzioso, arredato con oggetti fonoassorbenti, come tende e sedie o divani rivestiti in velluto o tessuti pesanti in grado di limitare l'eco ambientale.
- La registrazione della lettura delle storie può essere effettuata più volte facendo attenzione che tutte le parti siano nitide almeno in una di esse.

Dal punto di vista emotivo, soprattutto se è la prima volta che il partecipante ha registrato la sua voce, sarà difficile per lui godersi il risultato.
La percezione fisica che ognuno di noi ha della propria voce è legata alle onde sonore amplificate dalla cavità cranica ed è generalmente più grave di quella percepita all'esterno senza questo risonatore. Ciò significa che è difficile riconoscere e apprezzare il suono della nostra voce, che nella registrazione si rivela più acuta e stridula di quanto l'individuo si aspetti, e suggerisce l'idea di una minore serietà e autorevolezza, caratteristiche che associamo a un tono di voce basso.
Proprio per questo motivo è necessario dedicare alla registrazione un intervallo di tempo considerevole, in cui il partecipante possa effettuare varie prove e "entrare in contatto" con la sua voce registrata per non alterare l'impatto emotivo della sua narrazione e della sua esperienza di narrazione digitale.

Fase 8: Sincronizzazione di parti video e audio
L'ultima è la fase tecnica finale del montaggio, dove le voci registrate, i suoni e le immagini saranno armonizzate nella realizzazione del video.
In questa fase il partecipante, con il supporto dell'istruttore tecnico, acquisirà le competenze tecniche digitali per la creazione del suo video racconto.
Questa attività si svolge con l'ausilio del PC e si avvale delle competenze del formatore tecnico.
E' importante che tutti i PC in uso siano stati precedentemente testati per evitare momenti di distrazione e per permettere ai partecipanti di essere immediatamente operativi senza incorrere in malfunzionamenti o difficoltà nell'impostazione dell'applicazione.
Il formatore tecnico deve definire in anticipo quale software verrà utilizzato per l'editing. È importante scegliere un'applicazione che il formatore conosce bene.
Prima di iniziare il lavoro, il formatore tecnico deve spiegare le attività necessarie e le funzioni di base del software facendo un montaggio dimostrativo. Il formatore deve spiegare chiaramente all'aula che la funzione del montaggio è quella di armonizzare gli elementi della storia che hanno predisposto durante il workshop (la voce registrata, le immagini, i suoni). Solo dopo di ciò i partecipanti possono iniziare a testare i loro materiali.

Fase 9: finalizzazione della storia digitale
Il formatore tecnico deve essere presente per aiutare i partecipanti ad ottenere il risultato che desiderano e per eliminare disturbi o errori nel montaggio. Deve rendere i partecipanti consapevoli dei dettagli tecnici definiti come la risoluzione e il formato dell'immagine.
Non appena il risultato corrisponde alle aspettative del narratore, la fase di editing termina e ogni partecipante riceve un file video in uno dei formati necessari per il caricamento su internet (.mov, .mp4, .mpeg, . avi ecc.).

Passo 10: Condividere le storie digitali tra i partecipanti
A questo punto, è il momento di condividere i film attraverso una proiezione di gruppo. L'obiettivo finale del workshop è quello di mostrare le storie digitali al pubblico attraverso una proiezione pubblica e una mostra online.
Mentre la pubblicazione su internet e la condivisione con un pubblico esterno è a discrezione del partecipante, la condivisione delle storie digitali all'interno del gruppo di lavoro è un punto essenziale del processo di narrazione digitale.
La visione è l'atto di celebrazione del processo che ha impegnato il formatore e i partecipanti in un processo di 20-22 ore.
Il formatore ha il compito di gestire l'evento di visione con la dovuta solennità, allestendo una sala dedicata dove lo schermo è chiaramente visibile e la riproduzione di buona qualità. Deve introdurre ogni video con un breve discorso che deve dare attenzione al lavoro e sollevare il partecipante dall'imbarazzo.

Fase 11: Raccogliere l'autorizzazione per l'utilizzo delle storie digitali prodotte
I partecipanti al workshop devono essere tutti presenti e, se tutti concordano, possono invitare persone esterne. Non sono ammesse osservazioni critiche.
L'atto finale del workshop di digital storytelling è il "debriefing" finale in cui ogni partecipante, inclusi i formatori, racconta la propria esperienza. La conversazione si concentra sul processo e non sul prodotto del lavoro (i video). 
È importante che in questa fase tutti condividano il loro feedback illustrando i loro punti di forza e le loro debolezze.
Nel circolo di chiusura i partecipanti hanno la possibilità di approvare o negare l'autorizzazione alla pubblicazione del loro racconto digitale su internet e ad eventuali proiezioni successive.

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